Bauli da viaggio, oltre un secolo di creazioni artigianali capaci di farci viaggiare (anche con la fantasia).
È trascorso poco più di un secolo da quando Gabriele D’Annunzio veniva lodato per la sua abitudine di viaggiare seguito da uno “snellissimo” bagaglio (appena 3 bauli e altrettante valigie). Quando, nel 1924 Zelda e Francis Scott Fitzgerald partirono per l’Europa, avevano 17 bauli e svariate valigie. Più capricciosa Liz Taylor, negli anni Sessanta, ai tempi del suo matrimonio con Richard Burton, non si spostava se non con una media di oltre 100 colli.
A parte qualche rara eccezione, come quella dell’eccentrica reporter americana Nellie Bly, che già nel 1890 partì per il giro del mondo con una minuscola carpet-bag, il bagaglio ideale ha continuato, per tanto tempo, a essere composto da bauli e innumerevoli colli. Eppure oggi, in un momento in cui il viaggio è ormai divenuto quotidiano, accanto a bagagli piuma, trolley, valigie a prova di urto, zaini e sacche da weekend, i bauli seppur con le più diverse destinazioni, dal tavolo da salotto alla libreria, continuano a farci viaggiare con la fantasia, anche da casa.
È il caso di Cabinet of Curiosities di Louis Vuitton, nato dalla collaborazione con Marc Newson. Si tratta di un baule prodotto in soli 40 esemplari, apribile a 180° e rivestito in tela Monogram che presenta all’interno 19 cubi di metallo ricoperti di pelle di cui 8 con scomparti segreti. Ma Vuitton non è il solo.
Quando si pensa alla nuova vita dei bauli vengono in mente altre storiche maison come Au Départ, Moynat, Goyard e Prada, la griffe di articoli da viaggio di pregio fondata a Milano nel 1913, poi divenuta Fornitore Ufficiale della Real Casa Italiana. A distanza di oltre un secolo il brand milanese continua ad avere uno speciale servizio “Made to Order” dedicato ai viaggi, mediante il quale – con tempi di consegna di circa 10 settimane – il cliente può scegliere il modello di bagaglio, il pellame e il tipo di cifre da apporre. Un esempio su tutti? I bauli cifrati in stile anni Trenta realizzati da Prada per Tilda Swinton nei panni di Madame D in Grand Budapest Hotel (2014) di Wes Anderson. Ma le griffe italiane che affondano le loro radici nel concetto di viaggio sono diverse e vanno da Franzi – nata a Milano nel 1864 e oggi risorta a nuova vita, grazie a un interessante progetto di valorizzazione dell’heritage guidato da Marco Calzoni – a Gucci.
Guccio Gucci, fondatore della maison fiorentina, aveva iniziato il suo lavoro come fattorino e lift boy in quel crocevia del jet set internazionale che era l’Hotel Savoy di Londra. Fu allora che decise di fare degli accessori da viaggio il fulcro del suo lavoro. Oggi, oltre un secolo dopo, a Parigi al numero 229 di rue Saint Honoré, tra place Vendôme e il giardino delle Tuileries, la maison con la doppia G ha inaugurato la sua prima boutique dedicata esclusivamente alla valigeria. Ed è in questa stessa direzione che è nata Gucci Savoy, una collezione caratterizzata da valigie, cappelliere e bauli.
Tutte storie (e griffe) che invitano la memoria a vagare nel tempo. E nello spazio. Da Marco Polo a Maria Antonietta, uno dei cui bauli, destinato alle sue mise – come si evince dall’iscrizione “Garde Robe de la Dauphine” fissata sul coperchio – è stato battuto all’asta (Osenat, 2020) per 27.500 euro. Quella di Maria Antonietta era l’epoca in cui il viaggio tra le principali città europee di interesse artistico e culturale, il cosiddetto Grand Tour, stava diventando una sorta di esperienza iniziatica, parte essenziale dell’educazione di ogni giovane di buona famiglia. Meta obbligata era l’Italia, con le sue città d’arte. Come scrive Goethe nel suo Viaggio in Italia (1817): «Considero un mio secondo compleanno, una vera rinascita, il giorno in cui sono arrivato a Roma».
Più tardi, sull’onda dell’industrializzazione, mentre si diffondeva sempre più la moda di crociere e lussuose traversate oceaniche, si sviluppava la rete ferroviaria con treni privati come l’Orient-Express che nel 1883, esattamente 140 anni fa, inaugurò la sua prima tratta: Parigi-Costantinopoli. Ribattezzato prontamente “Il re dei treni. Il treno del re”, l’Orient-Express sarebbe poi entrato nel mito, complice il famoso giallo di Agatha Christie Assassinio sull’Orient Express (1934). È in questo contesto che Louis Vuitton, figlio di un modesto falegname della Franche-Comté, aveva dato vita nel 1854 all’omonima griffe che, dopo aver raggiunto la notorietà imballando le regali toilettes dell’elegantissima moglie di Napoleone III, Eugenia De Montijo, in breve sarebbe diventata un tutt’uno con lo stile da viaggio.
Intuendo il ruolo che gli spostamenti stavano assumendo nel mondo moderno, Vuitton aveva iniziato a disegnare bauli, beauty case e cappelliere che incantarono nel tempo ereditiere e artisti, intellettuali e muse del gusto: da Sarah Bernhardt a Ernest Hemingway, gelosissimo del suo library trunk, con tanto di cassetti segreti e macchina da scrivere. Poco a poco il viaggio, da rito mondano di una ristretta élite, stava diventando democratico. Quanto poi sia servito a dischiudere i nostri orizzonti è un’altra storia. Come annotava alla fine dell’Ottocento lo scrittore britannico John Ruskin: «Gli uomini non hanno visto granché del mondo quando andavano lenti, figuriamoci se lo faranno andando più veloci. Punti di vista.