A Sanremo 2024 vince La Noia: Angelina Mango ha sorpreso tutti, confermando un talento che dice molto anche di un'intera generazione
In questo 74esimo Festival della canzone italiana, Angelina Mango avrebbe potuto rappresentare la perfetta, consolidata e rassicurante combinazione tra generazioni: quella della figlia d’arte, con un destino già scritto. Ma ha sempre scelto un’altra strada. Oggi, quando arriva al primo posto del concorso canoro più importante d'Italia; e anche ieri, quando il talent show di Amici le diede la palma del secondo posto. Angelina ha 22 anni, ma sembra non avere età, lei che, se il prezzo da pagare è insostenibile, preferisce una «corona di spine come dress code» a quella dorata e convenzionale degli adulti.
E così, sbalordendo in questi giorni di festival tutti coloro che ancora non si erano resi conto del suo talento (che pur ha sbancato l'estate con la hit Ci pensiamo domani), ha confermato di essere una regina, anzi «princess, chiamami princess» come canta nel suo brano La Noia. Forse il successo della sua cumbia rivisitata sta proprio nel ritmo: un elogio alla leggerezza di un’intera generazione che sta cercando di trasformare la reclusione del lockdown pandemico, coi suoi incubi, in un letargo, che è l’anticamera di una nuova primavera.
L’altra faccia della medaglia l’ha confessata Sangiovanni, anche lui fiorito ad Amici a cavallo della pandemia e anche lui in gara a Sanremo 2024, che in conferenza stampa ha stupito tutti dicendo: «Non sono una persona che sta bene mentalmente, ma che lotta per stare meglio anche grazie alla musica. Io vivo una vita complessa, come tanti ragazzi della mia età e ho trascurato la mia crescita per fare questo mestiere. E ho perso tanto di me, delle cose semplici, delle cose che sono davvero importanti».
Angelina Mango, che la vita vuole morderla, non combatte con le armi degli adulti, che sono quasi sempre corazze. Si alleggerisce, insegna preferendo alle «perle di saggezza, le perline colorate per le bimbe incasinate», che è poi il modo più naturale di ribaltare una canonica visione del mondo: «Muoio, perché morire rende i giorni più umani. Vivo perché soffrire fa le gioie più grandi» canta lei, nella cui vita la sofferenza ha bussato troppo giovane, appena 13enne, quando il cantautore Giuseppe Mango ha lasciato lei e il fratello Filippo orfani di un padre, e l'Italia orfana di una voce inconfondibile.
Questa giovane donna ha visto in faccia un dolore che non si può digerire, ma lo ha rimasticato con la tenacia di chi ha compreso che la profondità non è poi troppo lontana, se si scrutano le trame della superficie in controluce: «La profondità non c’interessa» scriveva nelle Ricerche filosofiche il filosofo Ludwig Wittgenstein, e sembra dirlo anche Angelina in ogni nota de La Noia, brano scritto con un’altra cantrice generazionale, Madame, insieme a Dardust.
Angelina Mango non fugge di fronte a nulla, né dagli hater né dai cognomi ingombranti (e nella serata dei duetti a Sanremo la cover de La rondine, capolavoro del padre, l'ha confermato). Dorme poco, ma fa yoga ogni mattina per “ricentrarsi" in quella grande macchina divoratrice che è lo star system. Intervistata via Zoom nel pieno della pandemia, faceva del suo esordio musicale un invito ai coetanei a «non aspettare troppo tempo per il momento giusto» perché il tempo, e con esso lo spazio, «può essere pesante». Invece, come già prefigurava in Monolocale, il suo primo EP artigianale e un po' "sporco", ha scoperto che anche gli spazi ristretti sono vitali, come lo è la compressione del cuore per il corpo.
Nel videoclip de La Noia, diretto da Giulio Rosati, il centro della casa di campagna in cui vortica si dilata, diventa una corte esoterica come quella di Castel Del Monte, un conclave misterico dove sono chiamate a partecipare generazioni che sono diverse versioni di noi stessi. La vita da questa prospettiva è un cammino iniziatico, come peraltro suggerisce il branding scelto per la «Noioteca» di Sanremo e la cover del singolo, che rievoca i tarocchi e i lavori grafici di Elisa Seitzinger. Nel suo mondo magico, Angelina cammina da sola, anzi balla da sola in un posto dove non ci sono sante da venerare, ma principesse, streghe e fate che non stanno alle regole delle favole, le plasmano.
La cantante dalle lunghe trecce lega la sua stessa presenza scenica ad un immaginario antico popolato da matriarche, giovani, bambine e vecchie, affini alle eroine crude e materiche dell’immaginario lucano – è nata del resto a Maratea – che popola Lo Cunto de li cunti, il canzoniere seicentesco di Giambattista Basile. Questa visione è stata resa plasticamente dall’occhio creativo di Etro by Marco De Vincenzo e dalla scelta sapiente dello stylist Nick Cerioni, con top e gonne in broccato effetto metallo, jersey drappeggiati di cristalli e pailettes, abiti che si scontornano, fluttuano nell’aria.
Perché il Mediterraneo che Mango racconta perde l’azzurro abbacinato dal sole. È rumoroso e gitano come una cumbia metropolitana, appunto. Nella sua poetica, il mare e il sole entrano nei vicoli – come in Che te lo dico a fare – prendono altra forma, coi ritmi sensuali delle percussioni, in un posto che potrebbe essere Napoli o Cartagena, che è poi qualsiasi luogo che mantiene la sua vitale frivolezza. È un Mediterraneo diverso anche da quello di Mahmood il quale, scalato il Ghettolimpo con Klan, ha riproposto a Sanremo una evocazione mediorientale ruvida, molto più urban e brutalista, come il complesso triestino di Melara che fa da sfondo al videoclip della sua Tuta Gold. Anche la Napoli di Calipso aveva queste suggestioni claustrofile, più affini alle vele di Scampia e di Villeneuve-Loubet dove si corre, si vola.
Ma Angelina Mango non è una rondine: è una palommella, la colombina dei racconti di Basile che si accoppia al serpente fatato, diventando lei stessa una Gorgone. In questa trasformazione, che è poi il racconto dell’evoluzione di un’artista a tutto tondo, guarda al suo orizzonte con gli occhi di una sposa pronta alla svestizione, preparata a rompere le gabbie di un mondo adulto venato da immarcescibili sensi si colpa. Allora, come si sciolgono i nodi di questa madonna un po’ ispanica, un po’ gitana che non crede più alle favole? Abitando la Noia, che è poi il vuoto da cui ognuno di noi vuole scappare: «L’attesa è la nostra nevrosi» scriveva Pier Vittorio Tondelli, descrivendo la generazione degli anni Ottanta. Questa nuova generazione, invece, che non è scappata dalle voragini della vita, entra in questo vuoto, si adagia in una piscina senza l’ansia di dover rimanere a galla: perché è questo il tempo per sciogliere i nodi del destino.